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La natura esposta

Come dico spesso: ognuno ha la sua storia. Una storia composta da idee, memorie, attaccamenti e paure, dubbi e speranze. Come pure ciascuno ha la sua storia fatta di maestri e insegnamenti sparsi, persone che hai conosciuto e ti hanno donato tutto di loro, persone che hai incontrato e che ti hanno condizionato e cambiato senza saperlo; per il solo fatto di esistere e di comunicare. Tra questi molti scrittori che hanno abbandonato alle pagine le loro riflessioni. “Abbandonato” è veramente la parola giusta: hanno scritto i loro pensieri e hanno lasciato che vivessero una vita propria. E tu, ignoto lettore hai trovato e creduto di riconoscere l’intenzione sottesa, forse perché vivevi momenti simili a quello dell’autore mentre scriveva. Ti sei riconosciuto nelle sue parole, le hai accolte come insegnamento e chiarificazione di te stesso; un dono della sua anima.

Questa premessa è doverosa per poter capire che cosa ha suscitato in me spesso la lettura delle opere di Erri De Luca; ma, nello specifico, la lettura de “La natura esposta”. Un montanaro, un contrabbandiere, un artista; un uomo. Un uomo che si trova dover restaurare un’opera vecchia, ma che sembra antica, un crocifisso che il pudore insano ha voluto rivestire di un drappeggio che coprisse la “natura” originariamente esposta e visibile e che deve tornare alla idea originale. Togliere il drappeggio aggiunto danneggerà inevitabilmente la parte sottostante che dovrà essere scolpita ex-novo. C’è bisogno di perizia, ma anche di trepidazione, imitazione (lo scultore giunge fino a farsi circoncidere per imitare l’uomo dei dolori), come lo scultore originario aveva in un certo senso scolpito se stesso. E allo stesso tempo deve affrontare anche il rifiuto ed il tradimento. Vive di monti e di mare, ascolta la voce dei poveri e partecipa alla loro vita sobria ed essenziale. E tutto questo non da solo, ma aiutato gratis (una parola che rimanda alla grazia) da un rabbino e da un operaio musulmano, lui che sta compiendo un’opera incaricato da un prete, un’opera che si colloca al centro della fede cristiana.

Sta mettendo le mani su ciò che di più sacro esista, nella religione e nella vita; ma nonostante il suo sia un lavoro pregevole non vuole che il suo nome sia ricordato;  il libro è narrato in prima persona, il protagonista non ha nome, come non è menzionato nemmeno l’autore originario dell’opera.

Fin dalla Bibbia sui nomi non si scherza!

Sui chiodi stessi è stata scritta piccolissima la parola ebraica: Adam (uomo). Quel Dio che è stato abbandonato all’uomo, che lo ha crocifisso, si trova adesso nelle mani di altri uomini che accolgono l’incarico come un dono. Potremmo dire che nessuno lo guarda come Dio: né il rabbino, né il musulmano, e nemmeno lo scultore-autore del libro che nonostante sia un accanito lettore, traduttore e commentatore della Scrittura sacra (come la chiama lui) si definisce da sempre non credente.

In pochi mesi ho frequentato un prete, un operaio musulmano, un rabbino. Nessun contatto prima, e poi tre insieme. Mi hanno fatto affacciare ai loro balconi, provando le loro vertigini, assenti quando scalo precipizi… le parole delle loro scritture sono appigli per andare e tornare dall’abisso”.(p.84)

Un libro, che parla di un’opera di scultura, descrive un itinerario, parlando di “un uomo” descrive la vocazione di tutti; parlando di un Dio crocifisso conduce necessariamente alla domanda della opzione fondamentale: chi sono e da dove vengo?

Ma soprattutto ci dice che questo percorso è fatto di cime scoscese e di mari tempestosi; di viaggi di cui non conosciamo la meta, di decisioni e di abbandono. In particolare ci dice che, comunque, quando ci avviciniamo a ciò che più vero esiste nell’intimo dell’uomo occorre farlo in ginocchio. Quando lo scultore arriva alla conclusione della sua opera non riesce a fissare il pezzo mancante al primo tentativo; perché ci possa riuscire occorrerà la trepidazione, il rimorso, la paura e la capacità di mettersi in ginocchio.

Erri De Luca forse non è credente, ma, per noi credenti, può diventare comunque guida e maestro di parole, di spiritualità, io oso dire, di fede. 

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