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L’icona della natività

L’icona della Natività, appartiene al ciclo delle “Dodici feste”. Le icone sono, per la teologia ortodossa, una finestra aperta sul mistero di Dio; ci introducono cioè nel mondo di Dio e ci aiuta a contemplare il volto del Verbo Divino, che si è fatto volto e storia umana, visibile a noi e agli occhi della nostra carne e, nello stesso tempo, riflesso dell’Amore di Dio e della sua vita Trinitaria. Così l’Icona della Natività non solo ci presenta il testo biblico della nascita di Gesù, ma, attraverso i simboli, i colori, le immagini… ci aiuta ad entrare nel mistero di Dio.

Nella parte alta dell’immagine troviamo, per così dire, alcune scene “del cielo”. La luce che viene dal semicerchio, indica che l’evento che contempliamo, pur nella ordinarietà della situazione, è opera della Trinità e realizza un progetto che viene da Dio. Di questo mondo abbiamo un’ulteriore ed eloquente presenza: gli angeli. Essi richiamano sia il canto che quella notte risuonò sulla terra: “Gloria nell’alto dei cieli e pace in terra agli uomini che Dio ama” ( Lc 2,14), sia l’annuncio fatto ai pastori.

Nello stesso tempo, però, ci ricordano come, in quel giorno, il cielo e la terra si sono uniti in modo unico, sorprendente ed irreversibile. Una parte di loro, perciò, è rivolta verso l’alto, il luogo di Dio (i cieli sono i cieli del Signore… Sal 115,16), mentre altri sono rivolti verso la terra, verso gli uomini: la Parola eterna di Dio si è fatta carne, storia, Dio si rivela pienamente nell’uomo. I pastori indicano una umanità peccatrice, ma disponibile, pronta a muoversi per incontrare il volto di Dio nel volto di un bambino. Nell’oscurità della notte, segno, forse, dell’oscurità che, talvolta, copre il cuore, questi uomini sono il segno di una chiamata che è per tutti, che cerca tutti senza distinzione, privilegiando i “lontani”, i piccoli, i peccatori. Nella scena non possono mancare i Magi, i re dell’Oriente, simbolo di un’altra umanità. Sono stranieri, eppure riescono a leggere nei segni del cielo (nella stella), la presenza di Dio. Il Re, che loro stanno cercando, chiama anche loro, sebbene stranieri, perché il suo è un messaggio universale che dovrà arrivare fino agli estremi confini della terra. 

Al centro della scena è Maria, la Madre; sdraiata perché ha partorito, ma soprattutto perché è il seme, il genere di un’umanità nuova. In lei le promesse di Dio si sono compiute; per il suo sì, l’umanità e il cielo si sono uniti e il Re-Messia visita il suo popolo, colmando le attese di secoli. E’ lei il segno più grande della risposta umana e della fede, beata “perché ha creduto”(Lc 1,45). 

Il bambino che giace accanto a lei è insieme il Figlio dell’Altissimo (consustanziale al Padre) e Figlio suo (consustanziale alla Madre), per questo lei è la Theotokos, la Madre di Dio. I colori indicano questa sua dignità, la sua vocazione singolare, di Figlia di Sion che vede compiersi e partecipa alla salvezza del Signore. Il Bambino è, secondo il racconto evangelico, avvolto in fasce, ma queste assomigliano alle bende che avvolgevano i morti e la mangiatoia è volutamente simile ad un sepolcro, dentro una grotta oscura, simbolo della morte e del mistero dell’iniquità: “In lui era la vita, e la vita era la luce degli uomini;  la luce splende nelle tenebre, ma le tenebre non l’hanno accolta”.(Gv 1,4-5). Colui che “non ha considerato un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio, ma ha spogliato se stesso, assumendo al condizione di servo e divenendo in tutto simile agli uomini (Fil 2,6), ha condiviso con loro l’oscurità del sepolcro, “facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce”. Se gli uomini non hanno riconosciuto la venuta del loro Signore e il tempo in cui sono stati visitati, il bue e l’asino dell’icona adempiono, invece, la profezia di Isaia:”Il bue ha conosciuto il suo padrone e l’asino il presepio del suo signore”. (Is, 1,3 citato anche nel Vangelo dello Pseudo Matteo. cap14)

La presenza di questi due animali è ripresa dai testi dei Vangeli apocrifi così come l’episodio delle donne che lavano il piccolo Gesù bambino. Esse esprimono la verità cristologica dell’umanità del Signore: Egli è veramente uomo, per questo nasce, vive una vita del tutto umana e muore, come ogni essere vivente. Per questo ha bisogno di essere lavato, ha bisogno che qualcuno si prenda cura di Lui.

L’ultimo episodio che l’icona ci presenta, riassume un po’ la fatica del credente di fronte al mistero di Dio, il suo progetto di amore e di salvezza. Giuseppe è in disparte, perplesso, come ci ricorda il testo di Matteo (1,18-25), guarda ciò ce sta avvenendo, ma rischia di farlo solo con gli occhi della carne, senza riuscire a leggere i segno della presenza di Dio che viene nella kenosis, nell’umiliazione. E’ un invito, rivolto a coloro che guardano l’icona, ad avere uno sguardo sapienziale, capace di scorgere l’agire di Dio nella storia. Accanto a Giuseppe, un vecchio coperto di pelli: è Satana, il grande menzognero, colui che, fin dall’inizio, ha tentato l’uomo e la donna, invitandoli a non credere a Dio. Egli non ha ancora smesso di insinuare il dubbio e la tentazione nel cuore degli uomini, ma ormai il suo tempo è segnato. E’ ormai piegato dalla potenza di Dio. Giuseppe non gli crederà e non temerà di prendere con sé il bambino e sua madre. Le tenebre della grotta si squarciano ormai di fronte alla luce vera che viene nel mondo e l’icona ci testimonia la forza vincitrice e salvifica di Dio e dei credenti con la luminosità e la vivacità del colore.  

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